La ministra dell'Università e della Ricerca Anna Maria Bernini è ottimista: ci sono i fondi del Pnrr, ci sono le misure per «fare sistema» e ci sono i successi dei ricercatori italiani che quest'anno hanno fatto il pieno delle prestigiosissime e milionarie borse europee (Erc starting grants). Con 32 vincitori su 400 il nostro Paese è secondo dietro la Germania.
Intervista ad Anna Maria Bernini - Più ricerca e brevetti per la competitività
di Gianna Fregonara - L'ECONOMIA DEL CORRIERE DELLA SERA_SPECIALE FORMAZIONE & LAVORO
Bernini: «Nell'ultimo anno abbiamo assunto 4 mila giovani ricercatori»
Abbiamo alzato al 40% la quota delle donne. Messe a disposizione 15mila borse finanziate per il 50 per cento dalle stesse imprese
La ministra dell'Università e della Ricerca Anna Maria Bernini è ottimista: ci sono i fondi del Pnrr, ci sono le misure per «fare sistema» e ci sono i successi dei ricercatori italiani che quest'anno hanno fatto il pieno delle prestigiosissime e milionarie borse europee (Erc starting grants). Con 32 vincitori su 400 il nostro Paese è secondo dietro la Germania. «La ricerca parla italiano nel mondo. - si congratula - Abbiamo menti eccellenti che si distinguono nel contesto internazionale. Possiamo dire che quello del ricercatore è un mestiere pop».
Pop?
«Sì, interessa sempre più giovani. Grazie al Pnrr stiamo creando nuove opportunità e nell'ultimo anno abbiamo assunto quattromila ricercatori in più. E' una spinta importante, per abbassare l'età media e per alzare la presenza femminile».
A che punto sono i progetti del Pnrr: i centri nazionali, gli ecosistemi dell'innovazione che dovrebbero fare da volano «all'economia ad alta intensità di conoscenza», come si legge nel piano?
«Le grandi infrastrutture di ricerca sono già una realtà. Stiamo rispettando il cronoprogramma per accedere ai finanziamenti senza dimenticare che parliamo di progetti che non guardano soltanto al 2026 ma ad un orizzonte molto più lungo».
Lei dice che la ricerca è pop ma, come ha ricordato sul Corriere la rettrice del Politecnico di Milano Donatella Sciuto, oltre che di fondi il mondo dell'università ha bisogno di fiducia.
«Per questo bisogna lavorare su più fronti e abbiamo avviato alcune misure: penso al bonus del 3096 sugli stipendi di professori e ricercatori vincitori di bandi competitivi europei o internazionali. Le università, inoltre, potranno destinare parte delle risorse dei progetti di ricerca alla stipula di polizze sanitarie integrative. Sono iniziative per allineare l'Italia agli standard contrattuali internazionali».
Per favorire il trasferimento tecnologico abbiamo, in collaborazione con il Mimit, emanato nuove linee guida sulla proprietà industriale Uno dei problemi perla ricerca è sempre stata la difficoltà di far collaborare pubblico e privato. E il cosiddetto trasferimento tecnologico - start up, spin off - è stato complicato. Sta cambiando qualcosa?
«Sì, abbiamo avviato un percorso anche per stimolare il rapporto tra ricerca accademica e imprese. Puntiamo sui dottorati innovativi per rispondere ai fabbisogni di sviluppo delle imprese e promuovere l'assunzione di ricercatori. Abbiamo messo a disposizione 15mila borse finanziate per il 50 per cento dalle stesse imprese. Poi per favorire il trasferimento tecnologico abbiamo, in collaborazione con il Mimit, emanato nuove linee guida sulla proprietà industriale. I brevetti restano in capo alla struttura che finanzia la ricerca e questo favorirà la valorizzazione delle innovazioni a vantaggio della competitività».
Le nostre università — lo si vede anche negli ormai famosi rankings - spesso fanno fatica proprio sul fronte della rete internazionale di ricerca, a farsi conoscere e ad attrarre i cosiddetti "cervelli". Che cosa si può fare?
«Oltre agli incentivi contrattuali di cui ho parlato cerchiamo di recuperare risorse per progetti di ricerca a livello internazionale: abbiamo stanziato 8,5 milioni per confermare il "Programma per giovani ricercatori Rita Levi Montalcin" a favore di giovani impegnati stabilmente all'estero in attività di ricerca o didattica».
Quest'anno i ricercatori italiani e anche le università sono riusciti ad approfittare dell'effetto Brexit e hanno ottenuto più borse di ricerca europee degli altri anni. Come si rende stabile questo successo?
«Negli ultimi anni c'è stata una nuova attenzione nei confronti dell'Italia da parte dei ricercatori - italiani e stranieri - che sono in altri Paesi. Ora cerchiamo di portare in Italia progetti internazionali e di potenziare le nostre infrastrutture di ricerca d'eccellenza. Abbiamo avanzato la candidatura ad ospitare l'Einstein Telescope, un nuovo rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione. E' un progetto che avrà un impatto scientifico e tecnologico di livello mondiale e ripercussioni anche occupazionali notevoli. Abbiamo poi stanziato 330 milioni per la ricerca di base, con il Fondo Italiano per la Scienza (Fis) che è stato modificato. II nuovo bando assegna gli stanziamenti di due annualità, 2022 e 2023, per garantire con un'unica procedura la valutazione di tutte le proposte finanziabili».
Nel mondo della ricerca e dell'università esiste ancora un forte gap di genere. Le ricercatrici che abbandonano per motivi personali sono ancora troppe. Come si può ridurre questo fenomeno?
«Abbiamo alzato al 40 per cento la quota di assunzioni riservata alle donne: è II io per cento in più rispetto al target previsto dal Pnrr. I dati ci confortano, considerato che degli oltre 4 mila giovani assunti quest'anno, circa 1143 per cento è rappresentato dalle ricercatrici. Ma dobbiamo lavorare d'anticipo, puntando sull'orientamento e stimolando le più giovani a scegliere percorsi Stem».
II Pnrr ha previsto delle quote per cercare di ridurre un altro gap, quello con il Sud. Funzionano?
«II Pnrr ci ha chiesto di destinare II 40% degli investimenti al Mezzogiorno. Sono misure che funzionano, stiamo facendo controlli molto rigidi.»
Infine il tema della formazione online: una sfida che finora gli atenei tradizionali non hanno colto, lasciando il settore ad altri operatori non sempre qualificati.
«Stiamo lavorando sui cosiddetti Digital Education Hub previsti dal Pnrr e siamo nei tempi. A luglio è stato emanato II decreto per la selezione di queste tre grandi piazze virtuali universitarie che serviranno a integrare la didattica in presenza con esperienze formative online ed è già in lavorazione II provvedimento per la selezione delle candidature. L'obiettivo è di permettere anche agli studenti con meno disponibilità di tempo di frequentare corsi o workshop a distanza».