L’Italia della ricerca c'è. Noi i veri europeisti: da Macron un errore». Così il ministro dell'Università Anna Maria Bernini in una intervista a Il Messaggero dopo l'appello dell'Eliseo di recarsi in Francia agli studiosi statunitensi: «Dalla Francia logica solo nazionale. Da noi eccellenze, fondi e sgravi fiscali: siamo più che attrattivi». E ancora. «A livello scientifico non occorre competizione ma cooperazione: ne parliamo il 23 maggio a Bruxelles».
Intervista a Anna Maria Bernini - Bernini: «Sulla ricerca Macron sbaglia» - «L'Italia della ricerca c'è Noi i veri europeisti: da Macron un errore»
di Mario Ajello
Intervista al ministro dell'Università: «Noi i veri europeisti»
Bernini: «Sulla ricerca Macron sbaglia»
L’Italia della ricerca c'è. Noi i veri europeisti: da Macron un errore». Così il ministro dell'Università Anna Maria Bernini in una intervista a Il Messaggero dopo l'appello dell'Eliseo di recarsi in Francia agli studiosi statunitensi: «Dalla Francia logica solo nazionale. Da noi eccellenze, fondi e sgravi fiscali: siamo più che attrattivi». E ancora. «A livello scientifico non occorre competizione ma cooperazione: ne parliamo il 23 maggio a Bruxelles».
«L'Italia della ricerca c'è Noi i veri europeisti: da Macron un errore»
Il ministro dell'Università dopo l'appello dell'Eliseo agli studiosi statunitensi: «Dalla Francia logica solo nazionale. Da noi eccellenze, fondi e sgravi fiscali: siamo più che attrattivi»
Ministro Bernini, l'altro giorno l'Italia non ha partecipato all'annuncio da parte di Macron del piano per attirare in Europa ma soprattutto in Francia i ricercatori che lasciano l'America di Trump. Che cosa è accaduto?
«È accaduto che Macron ha sbagliato presentando il format "Scegli l'Europa, scegli la Francia", dovendolo poi cambiare in "Scegli l'Europa per la scienza". Non si rafforza lo spirito comunitario chiudendosi in una logica esclusivamente nazionale. Il nostro approccio è da veri europeisti. Non facciamo roboanti annunci nazionali ma rafforziamo l'interesse italiano in una logica di sistema europeo. Non possiamo accettare ambiguità nei rapporti internazionali. Occorre fare le cose giuste nella sede giusta, cioè il Consiglio europeo del 23 maggio. Parteciperò, raccontando le cose che abbiamo già fatto e che proporremo all'Ue come migliori pratiche. Il nostro orizzonte è fare azioni efficaci e durature per i ricercatori e per la ricerca in una più ampia cornice internazionale».
Non bisogna fare agli Usa di Trump la guerra dei cervelli?
«Occorre lavorare con tutti i Paesi per garantire, in un momento di cambiamenti velocissimi, che la comunità scientifica possa rafforzarsi e trovare la sua casa in Italia e nel mondo. Non dev'esserci, a livello scientifico e universitario, una logica di competizione ma di cooperazione. Il che non impedisce la mobilità dei ricercatori e l'impegno per cogliere tutte le opportunità che si presentano per attirare cervelli».
L'Italia che cosa fa per diventare attrattiva?
«Un grande investimento sulla ricerca. Abbiamo stanziato 11 miliardi di fondi Pnrr, rafforzando le infrastrutture di ricerca, laboratori, centri di studio avanzati, luoghi di formazione e di specializzazione all'avanguardia, che sono la vera casa dei ricercatori. Abbiamo puntato su temi sfidanti come il super-calcolo e il quantum, finanziando la nostra Data Valley a Bologna. Lì c'è Leonardo, uno dei super-calcolatori più performanti del mondo, aggiornato già due volte. Questo crea non soltanto una comunità scientifica internazionale ma anche un grande indotto. I ricercatori che da tutto il mondo vogliono venire da noi troveranno infrastrutture di altissima qualità scientifica e di grande reputazione internazionale».
C'è soltanto Leonardo?
«Le cito anche altri esempi. Siamo candidati ad ospitare, in Sardegna, Einstein Telescope, su cui il governo ha investito un miliardo e 200 milioni. Attraverso l'osservazione delle onde gravitazionali e dell'universo profondo, questo strumento consente ricadute imprenditoriali e occupazionali straordinarie e grandi benefici per la qualità della vita di tutti noi, come lo sviluppo di nuovi farmaci. Altro caso. Stiamo lavorando sull'agricoltura tecnologica, per difendere le colture dai cambiamenti climatici, per gestire le acque, cioè il water management, e per garantire la sicurezza dei cibi. Tutto questo si fa a Napoli, in un centro che si chiama Agritech e a cui partecipano università, centri di ricerca e imprese».
Lei sta cercando di ribaltare la narrazione di un Paese, il nostro, senza soldi e senza progetti perla ricerca?
«Non si tratta di ribaltare un racconto, ma di dimostrare nei fatti che siamo certamente attrattivi. E non solo perché abbiamo confermato gli sgravi fiscali al 90 per cento per i cervelli di ritorno, ma perché abbiamo cambiato marcia rispetto al passato, implementando un sistema di strutture di ricerca avanzatissime».
Quando lei di fronte all'annuncio di Von der Leyen dei 500 milioni ha detto che l'Italia ha già messo in campo 50 milioni per la ricerca, a che cosa si riferiva?
«Questo investimento è soltanto l'ultima delle nostre iniziative per l'attrattività. Abbiamo aperto un bando da 50 milioni destinato a ricercatori italiani e stranieri vincitori di progetti di ricerca operativi all'estero. E l'ultimo avviso del Fondo Italiano per la Scienza è di 475 milioni, praticamente la stessa cifra messa in campo dall'Ue su tre anni. Per questo ho detto che, mentre gli altri fanno annunci roboanti, noi abbiamo già fatto. Io tutte queste cose le racconterò al Consiglio europeo, rappresentandole come un modo concreto per migliorare la ricerca cooperativa in Europa. La visione del nostro governo è che la scienza sia un ecosistema dove tutti, università, ricerca, imprese, devono fare la propria parte in una strategia europea».
Ma in Italia i ricercatori si lamentano.
«Sì, e noi ascoltiamo la loro richiesta d'aiuto. E' quella di avere non più il solo contratto di ricerca, eredità del governo Draghi, ma diverse tipologie, come accade all'estero. Qui esiste un solo contratto uguale per tutti, che risponde a logiche puramente sindacali e perciò troppo rigido e non riconosciuto a livello internazionale. Rischiamo di non essere attrattivi rispetto ad altri Paesi che hanno almeno 3 tipologie di contratto a tutele crescenti. Da noi, è come se il contratto di ricerca fosse un vestito a taglia unica che tutti devono farsi andare bene. La realtà è diversa».
Sta attaccando la Cgil?
«No. A noi interessa rispondere alle università, ai centri di ricerca e ai ricercatori che hanno lanciato un allarme, chiedendoci di rivedere il modello del contratto unico. Dobbiamo ascoltare lava ce di chi questi contratti usa per costruirsi una carriera. Ci viene chiesto di istituire figure contrattuali post dottorato e incarichi di ricerca. Su tali innovazioni, rivolgo un appello a tutta la politica di condividere questo percorso, senza divisioni tra maggioranza e opposizione».
Lei immagina un Villaggio Globale della ricerca con al centro l'Italia?
«Diciamo un Villaggio Globale nel quale l'Italia ha già guadagnato una posizione sempre più rilevante».