La ministra dell'Università Anna Maria Bernini difende le misure sui precari: «È la riforma delle opportunità. Restituisce dignità alla ricerca, anche nelle sue tutele». E aggiunge: «Tutto è migliorabile, ora il confronto».
Federico Capurso - La Stampa
La ministra dell'Università Anna Maria Bernini difende le misure sui precari: «È la riforma delle opportunità. Restituisce dignità alla ricerca, anche nelle sue tutele». E aggiunge: «Tutto è migliorabile, ora il confronto».
La ministra dell'università risponde alle critiche sul disegno di legge approvato martedì scorso dal Cdm
"La precarietà è quella vissuta fino a oggi, non prorogheremo i vecchi assegni senza diritti e dignità"
di Federico Capurso
Di fronte alle accuse di aver costruito un provvedimento che aggraverà la situazione dei precari nelle università, la ministra Anna Maria Bernini punta i piedi e difende la sua misura: «È la riforma delle opportunità, che restituisce dignità alla ricerca, anche nelle sue tutele». Ma non chiude alla possibilità di modificare il testo in Parlamento: «Tutto è migliorabile — spiega — Questo è un punto d'inizio, non la fine. Ci sarà un confronto».
I dottorandi dicono che aver aumentato il numero delle figure di ricerca allungherà solo il percorso dei precari per arrivare a una stabilizzazione. Non è così?
«La precarietà è quella vissuta fino ad oggi, incentivata dagli assegni di ricerca che non riconoscono diritti e che abbiamo deciso di non prorogare più. Da gennaio, senza gli assegni di ricerca, sparisce quello che era nei fatti un ricercatore-fantasma. Ma lo sa che è l'assegnista a doversi pagare i contributi previdenziali?»
Per i sindacati è proprio la varietà di contratti a moltiplicare la precarietà.
«Le nuove figure contrattuali non tolgono nulla, ma aggiungono opportunità. Penso al contratto retribuito per lo studente la cui attività viene valorizzata, anche economicamente. Altro che precariato! La precarietà non è legata alla varietà dei contratti, ma dalla durata eccessiva dei rapporti a termine. Eppoi ci sono altri fattori».
Quali?
«Lo standard internazionale che dobbiamo avere come riferimento e le diverse realtà nazionali, composte da università, enti di ricerca e l'alta formazione artistica, musicale e coreutica, strumenti diversi per esigenze differenti».
Il governo Draghi aveva introdotto un'unica figura pre-ruolo, con tutele con tutele contrattuali certe. Perché è stata accantonata?
«Non è stata affatto accantonata, anzi. Credo che il contratto di ricerca possa avere un rilancio da questa riforma. Le università possono già applicarlo. Se non lo fanno è perché manca il necessario accordo tra Aran, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, e i sindacati. È evidente che il sistema-ricerca deve poter correre su altre gambe. È per questo che, in una situazione di quasi vuoto, abbiamo individuato altri contratti che questo vuoto vanno a colmare».
Il governo è aperto a possibili modifiche?
«Certo. Tutto è migliorabile, soprattutto senza gli occhiali del pregiudizio. Noi siamo pronti a confrontarci su quella che già ci sembra un'ottima legge. Avevo anticipato i contenuti ai sindacati e abbiamo preferito il disegno di legge perché si aprisse un dibattito. Abbiamo stabilito anche un Osservatorio sulle nuove figure contrattuali, proprio pensando alla migliore efficienza possibile. L'approvazione in Consiglio dei ministri è un inizio, non una fine. Già da settembre ci sarà un confronto con tutte le parti interessate, sia in Parlamento che al Mur».
Le opposizioni chiedono di rendere queste figure di ricerca alternative l'una all'altra. E una possibilità?
«Ma lo sono già. Abbiamo pensato a possibilità diverse per situazioni diverse. Non sono strumenti sovrapponibili, ma soluzioni che tengono conto delle differenze. I giovani di talento potranno usufruire, ad esempio, di borse di assistenza junior o senior».
A che punto è la definizione del fondo di finanziamento ordinario?
«Abbiamo firmato il decreto di riparto del Fondo. Anche quest'anno abbiamo distribuito più di 9 miliardi alle università statali. Sono risorse importanti, negli ultimi anni abbiamo toccato cifre record».
Bologna lamenta un taglio di 30 milioni.
«Pubblicheremo le cifre e verificheremo le previsioni con la realtà, che noi pensiamo essere diversa da quella prospettata. Ma il rettore Molari tocca un punto condiviso: la crescita di questi anni, anche finanziaria, degli atenei va stabilizzata. Quello della sostenibilità è un obiettivo comune».
Come si raggiunge?
«In accordo con la Crui, la Conferenza dei rettori, stiamo rivedendo la struttura del Ffo. Più flessibilità, ma anche più responsabilità da parte degli atenei. E abbiamo già liberato altri 50 milioni che erano vincolati. Non va dimenticato che il fondo di finanziamento ordinario è una risorsa, non l'unica risorsa. Non vogliamo spendere di meno, ma meglio».
Lei ha anche annunciato di voler intervenire, a settembre, sulla legge generale delle università, per modificare la riforma Gelmini. In che direzione?
«La Gelmini è un'ottima legge ma ha dieci anni, serve un restyling, anche in vista del miglior utilizzo possibile delle risorse. Prima di pensare ai correttivi ci siamo dati un metodo. Istituiremo una commissione con università, studenti, il Consiglio universitario nazionale e l'Anvur, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Tutte le energie, insieme. Tutte le competenze, insieme. Sarà questo impegno collettivo a individuare urgenze e rotta da prendere».
Le università telematiche non sono state toccate. Servono regole più stringenti?
«C'è un grande equivoco di fondo. Quello su cui stiamo lavorando, e siamo a buon punto, non è un intervento normativo sulle università telematiche, ma sull'insegnamento a distanza. Un insegnamento che può e deve essere erogato anche dagli atenei che lavorano in presenza. Il nostro obiettivo è garantire flessibilità ma al tempo stesso alta qualità della didattica. Credo che sia questo il punto dirimente. Se non distogliamo l'attenzione da questo obiettivo, potremo lavorare bene». —