Università di Pavia: inaugurato l'anno accademico 2021-2022

L'intervento di apertura del Ministro Maria Cristina Messa

Signor Presidente. Magnifico Rettore. Autorità. Colleghe, Colleghi. Studentesse e studenti. Gentili ospiti.

660 anni fa veniva fondata l’università di Pavia, quale, primo, forte segnale della ricostruzione e della ripartenza cittadina voluto da Galeazzo II Visconti dopo gli eventi bellici e sanitari.

L’università e i giovani diventavano così le leve per costruire il futuro. Tempo, questo, che accompagna da sempre l’università e la ricerca, perché nelle aule universitarie si formano i cittadini e i professionisti del domani, nei laboratori prendono corpo le idee, le scoperte e le tecnologie che porteranno innovazioni, crescita, sviluppo.

Senza ricerca non potrà esserci alcun futuro: mi avete sentito dire tante volte questa cosa

Ma il futuro nasce da ciò che adesso facciamo e scegliamo di fare.

Il futuro non si può immaginare senza la presa di coscienza del presente.

Da oggi riapriamo gli atenei in presenza con regole dettate da un principio di responsabilità solidale.

L’obiettivo è riappropriarci della socialità, della prossimità, di una più ampia libertà relazionale così ridotta durante i mesi della pandemia.

Giorni che hanno lasciato cicatrici profonde, e – visti i dati delle ultime settimane – non consentono di abbassare la guardia. Ma al tempo stesso non possiamo continuare a rinunciare.

Dobbiamo riprenderci i luoghi, i tempi e i modi propri della nostra vita e della vita universitaria.

Occorre ricominciare a frequentare e vivere le biblioteche, le aule, i laboratori, gli spazi comuni, le mense e le residenze.

Sarebbe curioso, se non imbarazzante, che tutto questo venisse rallentato o addirittura ostacolato e che proprio nelle comunità universitarie trovassero accoglienza e credito fake news o teorie negazioniste sui vaccini o sulla gestione delle fasi emergenziali e post emergenziali.

Un conto è il dissenso critico frutto del mondo scientifico, altro la provocazione fine a se stessa: lo spirito critico, per restare tale, deve essere libero da pregiudizi e da preconcetti.

La conoscenza fuga le paure, non le alimenta. Perché è quanto insegniamo e impariamo nelle nostre aule, è il messaggio più forte da trasmettere e condividere: la conoscenza, la ricerca sono gli unici strumenti che abbiamo per migliorarci e progredire. Strumenti con cui gestire i cambiamenti epocali cui andiamo incontro.

Assumiamo a riferimento il principio di realtà e le priorità conseguenti, soprattutto in tema di salute e scienze della vita, di cui quest’ateneo è riferimento nazionale e internazionale.

L’università deve essere un ponte da attraversare, un passaggio con cui i giovani accedono a professioni, lavori, carriere, luogo della produzione e della organizzazione di conoscenza e della densità culturale con cui si vive il presente. Ed è, dovrebbe essere, tanto altro ancora: ascensore sociale, presidio di civiltà e civismo, palestra di democrazia.

È chiaro che per esercitare tali azioni l’università deve essere al centro dell’azione politica e dell’interesse sociale.

Deve, anche, poter ripensare se stessa liberandosi da visioni burocratiche, da un’autonomia priva di responsabilità, da strategie senza sostenibilità.

Occorre, contestualmente alla riapertura, costruire il nuovo presente degli atenei intervenendo significativamente, ma al tempo stesso, chirurgicamente sulle norme: dal pre-ruolo al reclutamento degli organici; dal diritto allo studio alla valutazione; dall’offerta didattica al rapporto con i territori.

La straordinaria disponibilità finanziaria, assicurata dal prestito comunitario, ci impone di fare presto, bene, con responsabilità e lungimiranza.

Vorrei chiudere con due considerazioni.

La prima, il confronto con i giovani non va anestetizzato. Il realismo, che io stessa ho richiamato all’inizio non deve affossare la capacità visionaria, gli entusiasmi, la forza del sogno di cui i giovani sono portatori. Hanno aspettative alte e, in modo altrettanto alto e pungente, esprimono le preoccupazioni e i disagi sul futuro delle università e della ricerca. Dobbiamo saperli ascoltare e prodigarci per dare risposte adeguate, autentiche, senza nascondere i rischi e le opportunità dei cambiamenti a volte necessari. Se le università devono mantenere la presa sul presente devono parimenti insegnare a imparare a attualizzare il futuro, e ben venga che ciò che è immaginato e sognato sia oltre ogni aspettativa.

La seconda considerazione è agganciata anch’essa al tempo presente, in particolare alla cronaca di questi giorni. È stata significativa la reazione degli atenei e delle istituzioni AFAM alla crisi afghana. I Rettori e i Presidenti delle Accademie e dei Conservatori da subito si sono dichiarati pronti a ospitare e sostenere percorsi di studio e di ricerca di studentesse in modo particolare, ma anche studenti e docenti afghani non solo in considerazione del dramma umanitario in atto, ma soprattutto per tutelare quella libertà della ricerca, dell’insegnamento, della formazione che sono alla base di ogni futuro e di ogni democrazia. Pertanto, come Ministero, oltre a impegnarci per favorire l’evacuazione e il rientro in Italia degli studenti afghani iscritti alle nostre istituzioni, stiamo valutando l’attivazione di alcune prime iniziative tra cui l’estensione di un progetto che abbiamo in corso da tempo come l’European Qualifications Passport for Refugees ai rifugiati afghani e l’apertura di una linea di finanziamento per le istituzioni universitarie e AFAM pronte ad accogliere studenti, docenti e personale tecnico proveniente dall’Afghanistan.

L’attenzione e l’impegno sul presente, insieme alle passioni dei giovani, all’impegno e alla tenacia negli studi devono favorire il buon tempo futuro, qui e altrove.

Complimenti a questo ateneo e buon anno accademico.